IL PRINCIPIO DI DIRITTO
Per la C.T.R. di Firenze (sent. n. 986/2021) i canoni di locazione concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili anche in caso di pignoramento dell’immobile stesso.
La decisione
Un contribuente impugnava un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate sostenendo il non assoggettamento a tassazione, ai fini dell’Irpef, dei canoni di locazione: nello specifico segnalava che nell’anno in contestazione non aveva percepito nessun canone di locazione in quanto l’immobile era stato pignorato e conseguentemente i canoni erano stati versati alla procedura esecutiva.
La questione è giunta dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Firenze la quale ha respinto le ragioni del contribuente.
La CTR ha ricordato che ai fini dell’imposte sui redditi, il comma 1, dell’art. 26 del D.P.R. n. 917/1986, stabilisce che i redditi fondiari, compresi quelli di locazione, concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.
La norma richiamata, a seguito della integrazione apportata con l’art. 8, comma 5, della L. n. 431/1998, dispone, inoltre, che “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore”. In merito alla imponibilità del reddito, anche se non riscosso, si è espressa anche la Corte di cassazione, ex multis, con la sentenza n. 21621/2015 affermando che “per il reddito da locazione non è richiesta, ai fini della imponibilità del canone, la materiale percezione del provento. Dunque, il relativo canone va dichiarato, ancorché non percepito, nella misura in cui risulta dal contratto di locazione fino a quando non intervenga una causa di risoluzione del contratto medesimo”.
In particolare, il caso in esame ha riguardato un immobile pignorato, per il quale il proprietario non aveva incassato materialmente i canoni, che erano stati invece riscossi dal custode, nominato dal tribunale ai sensi dell’art. 559 c.p.c.
Il Giudice dell’appello ha rilevato che, in caso di pignoramento, l’art. 65 c.p.c. individua le funzioni del custode nella conservazione e nell’amministrazione dei beni pignorati, riferendosi sia alle attività di conservazione materiale del bene affidatogli sia alla sua gestione per mantenere l’utilità economica e acquisire i frutti. Al custode, pertanto, spettano ex lege i poteri inerenti alla conservazione e all’amministrazione ordinaria del bene, con l’espressa eccezione della concessione del bene in locazione, che è sempre soggetta all’autorizzazione del giudice (art. 560, comma 2 c.p.c.).
Nel caso di affitto, le somme percepite a tale titolo dal custode vanno comunque a beneficio del proprietario dell’immobile, in quanto riscosse per soddisfare i creditori e il fatto che per il locatore l’incasso sia solo “virtuale” in realtà non esclude la constatazione che lo stesso sia reale e a suo vantaggio, tant’è che con quegli importi questi riduce i propri debiti verso terzi, sia pura seguito di procedure giudiziarie esecutive. In senso conforme la Corte di Cassazione, con la sentenza 5736/2013, resa in materia di Ici, ha affermato il principio che le conseguenze giuridiche derivanti dall’esecuzione della formalità del pignoramento immobiliare, costituite dai particolari obblighi e divieti imposti al proprietario del cespite, non escludono la applicazione a suo carico dell’Ici in quanto il presupposto impositivo viene a mancare (rectius, a migrare nella sfera giuridica dell’assegnatario) soltanto all’atto dell’emissione del decreto di trasferimento del bene; e non si trasferisce medio tempore in capo al custode giudiziale di cui all’art. 559 c.p.c.